D.D.L. Concorrenza: verso la definitiva abrogazione del divieto di cumulo di concessioni

Dalla Newsletter Assagenti a cura dello Studio Legale Cuocolo – Novembre 2021  

Una delle novità più importanti contenuta nel D.D.L. Concorrenza, approvato dal Consiglio dei Ministri il 4 novembre scorso e attualmente sottoposto all’esame del Parlamento, consiste nell’intenzione di rimuovere il limite previsto all’art.18, comma 7, della legge 84 del 1994, ovvero il cosiddetto divieto di cumulo delle concessioni per i porti di rilevanza economica nazionale ed internazionale.
Come noto, l’attuale formulazione dell’art. 18, comma 7, oltre a stabilire che un’impresa concessionaria debba esercitare direttamente l’attività per la quale ha ricevuto la concessione, prevede un duplice divieto: in primo luogo, l’impresa concessionaria non può essere contestualmente titolare di due differenti concessioni nello stesso porto, salvo che le due concessioni non abbiano ad oggetto attività tra loro differenti (c.d. divieto di doppia concessione); in secondo luogo l’impresa concessionaria non può svolgere attività portuali in aree demaniali diverse da quelle che le sono state assentite (c.d. principio o criterio della specializzazione).
Tale disposizione, ispirata da un chiaro intento anti-monopolistico, era nata allo scopo di evitare la concentrazione in capo ad un medesimo operatore della disponibilità di troppe aree all’interno dello stesso scalo, con conseguente formazione di posizioni dominanti. In questo senso, il TAR Liguria aveva condivisibilmente osservato che “la norma mira a prevenire la concentrazione in capo ad un medesimo imprenditore della disponibilità degli spazi eccessivamente ampi in ambito portuale dichiarando l’illegittimità della costituzione o del rafforzamento della posizione dominante ritenuta dal legislatore naturalmente idonea ad ingenerare pratiche anticoncorrenziali, prescindendo dall’accertamento dell’avvenuta realizzazione delle pratiche abusive” (sentenza n. 747/2012).
Sono in molti tuttavia a ritenere che la predetta disposizione, concepita in un contesto storico in cui ciascun porto rappresentava un distinto mercato rilevante, sia oggi obsoleta rispetto all’evoluzione del settore portuale, specialmente nei porti di maggiori dimensioni e relativamente ad alcune attività, come quelle terminalistiche, in cui la concorrenza ha assunto dimensioni nazionali o internazionali.
Va d’altra parte ricordato che la giurisprudenza, fin dal principio, ha dato alla disposizione un’applicazione piuttosto limitata, contribuendo ad una progressiva erosione del divieto di cumulo.
Nel 2002, ad esempio, il TAR Puglia aveva ritenuto sufficiente, ai fini del rispetto dell’art. 18, comma 7, Legge n. 84/1994, la circostanza che vi fosse una pluralità di imprenditori preposti all’esecuzione delle operazioni portuali in relazione a ciascun segmento di mercato, individuato in ragione del prodotto trattato, e che nessuno di essi rivestisse una posizione tale da compromettere la concorrenzialità del mercato di riferimento (TAR Lecce, sentenza n. 185/2002).
Un ulteriore affievolimento del divieto di cumulo è stato operato successivamente dal Consiglio di Stato, il quale, in considerazione della sempre più avvertita esigenza di spazi degli operatori portuali, ha ammesso la possibilità di assentire ampliamenti delle concessioni esistenti. In questo senso, il Consiglio di Stato ha affermato che “in linea generale, non è escluso che il concessionario di aree portuali possa risultare affidatario di ulteriori concessioni, che possono essere assentite se l’attività richiesta in nuova concessione sia differente dall’attività svolta nell’area già affidata, e, in particolare, non si rinviene nella norma il divieto, comunque e in ogni caso disposto, di ampliamento di concessioni in essere, ferma, ovviamente, la garanzia di un confronto pienamente concorrenziale ai fini della gara” (Consiglio di Stato, sentenza n. 51/2011).
Da ultimo, il limite di cui all’art. 18, comma 7 è stato, nei fatti, superato nella vicenda riguardante la fusione tra PSA e Sech, avvenuta a Genova nel 2020. Tale fusione, come noto, è stata resa possibile anche grazie al parere reso dall’Avvocatura Generale dello Stato, la quale, chiamata a pronunciarsi sulla questione da parte dell’AdSP del Mar Ligure Occidentale, ha affermato che il concetto di ‘porto’ “non deve essere riferito alla singola infrastruttura ma all’intero sistema portuale cui la stessa si afferisce”. L’Avvocatura ha, quindi, sostenuto che “i porti di Genova, La Spezia, Vado e Livorno dovrebbero essere considerati parti dello stesso bacino d’utenza (“catchment area)”. Per effetto di ciò l’Avvocatura ha quindi concluso che “applicando i criteri enunciati, il soggetto concessionario non avrebbe acquisito una posizione di mercato dominante rispetto alla catchment area”.
Quale che sia il giudizio sulla correttezza giuridica del parere dell’Avvocatura, appare evidente come nel caso appena illustrato si sia assistito ad un’abrogazione di fatto della norma dell’art. 18, comma 7, e che quindi il D.D.L. concorrenza si limiti a formalizzare qualcosa che nei fatti è già avvenuto. Se questo è vero, resta però l’interrogativo di fondo, ovvero come sarà possibile garantire il rispetto della concorrenza in ambito portuale, una volta che sia definitivamente caduto quel divieto di cumulo che, nelle intenzioni del legislatore, si proponeva per l’appunto la finalità di prevenire la formazione di monopoli.

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