Responsabilità per degrado delle banchine portuali: tra manutenzione e vizi occulti
Con la sentenza n. 1202 pubblicata il 6 febbraio 2024, la V Sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata sul ricorso proposto dall’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sardegna – Cagliari relativo all’attribuzione di responsabilità dei fenomeni di degrado e usura che interessano le banchine e i pontili dei porti serventi attività di Transhipment.
In relazione a tale fenomeno, infatti, la giusta qualificazione degli interventi di ripristino effettuati è prodromica alla corretta allocazione dei relativi costi. Le banchine e i pontili dei porti serventi attività di Transhipment, infatti, sono soggetti a ingenti carichi di peso dovuti alla movimentazione di pesanti container.
Il caso trattato dalla sentenza 1202/24, riguarda diversi cedimenti che avevano interessato oltre 1 km di binari correnti sulle banchine strumentali all’attività di Transhipment nel Porto di Cagliari. Addirittura, si era verificato lo sprofondamento in diversi punti della banchina stessa. Ciò aveva costretto la società concessionaria a effettuare interventi di ripristino urgente. Sicché quest’ultima, aveva chiesto all’ADSP una riduzione del canone a titolo di “compensazione” a fronte della spesa sostenuta.
L’ADSP aveva rigettato la richiesta poiché sosteneva che i lavori rientrassero nell’alveo della “manutenzione ordinaria e straordinaria” e che, quindi, fossero – ai sensi della Convenzione concessoria – a carico del concessionario. Tuttavia, non era stata resa al concessionario la comunicazione ex art. 10-bis, D. Lgs. 241/1990. Quindi la concessionaria aveva proposto ricorso nanti il TAR Sardegna.
Il TAR Sardegna (sez. I, sent. 313/2018), accogliendo il ricorso, aveva affermato che “avendo il concessionario ignorato il “difetto” originario di costruzione -peraltro neppure successivamente percepibile, quanto meno prima che si verificassero i conseguenti cedimenti, perché legato a materiali e lavorazioni sotterranei- il criterio normativo di riferimento è quello dettato, in materia di locazione (cui la concessione può essere funzionalmente assimilata), dall’art. 1578 c.c., dal quale emerge che i “vizi occulti” non possono, per evidenti motivi, essere fatti gravare sull’incolpevole conduttore.”
Avverso tale pronuncia l’ADSP ha proposto appello e il Consiglio di Stato ha in parte confermato quanto statuito in primo grado dal TAR Sardegna (sez. I, sent. 313/2018) e in parte ne ha riformulato le motivazioni. Secondo il Consiglio di Stato, in particolare, “l’appellante [ovverosia l’ADSP] non riesce a dimostrare compiutamente come i fenomeni di degrado denunciati costituiscano l’esito di una normale usura e non dipendano, invece, dall’esistenza congenita di un vizio strutturale delle opere. In tal senso, assume valore decisivo la relazione della Commissione di collaudo delle banchine e delle infrastrutture, per la parte in cui evidenzia “cedimenti già previsti dal progetto e ascrivibili alla natura stessa del tipo di pavimentazione”, in “diretta conseguenza di scelte progettuali e dei carichi reali dei mezzi di movimentazione diversi da quelli ipotizzati”, essendosi data prevalenza al “criterio dei minori costi globali, complessivi di costruzione e di esercizio, non corrispondenti a costi di esercizio nulli per la manutenzione della pavimentazione”. Può quindi ragionevolmente escludersi che il contestato degrado delle strutture portuali in esame sia addebitabile solo ad una normale usura.”
Il Consiglio di Stato ha, poi, preso posizione sulla presunzione di conoscenza dello stato delle cose da parte della concessionaria prima della stipula della Convenzione. L’ADSP aveva eccepito, infatti, che la concessionaria fosse a conoscenza dei vizi e che avesse, pertanto, accettato il rischio di dover provvedere a interventi di ripristino anticipatori dell’ordinaria manutenzione (posta, questa, pacificamente a carico della concessionaria ai sensi della Convenzione). Sul punto, il Consiglio di Stato ha affermato che tale circostanza “impone di procedere ad un più approfondito esame volto a verificare la conoscenza delle descritte criticità del progetto da parte della società ricorrente di primo grado, con la conseguente assunzione di responsabilità circa i necessari interventi di ripristino, ma ciò non determina l’accoglimento della domanda istruttoria della medesima società, posto che un tale esame dovrà comunque essere compiuto, in contraddittorio fra le parti, in sede di riedizione del potere da parte dell’Autorità portuale […]”
Infine, il Consiglio di Stato ha ritenuto fondata la censura mossa dalla concessionaria nel ricorso di primo grado con cui questa aveva lamentato la mancata comunicazione di cui all’art. 10-bis del D.Lgs. 241/1990. Pertanto, ha confermato l’annullamento del provvedimento impugnato e ha rimesso all’ADSP la scelta della modalità di compensazione delle spese sostenute dalla concessionaria.