Uber Pop si può salvare
di Lorenzo Cuocolo – twitter @lorenzocuocolo
Il caso Uber divide: c’è chi lo acclama come la più grande innovazione e chi lo considera il male assoluto. Qui analizzeremo i profili tecnico-giuridici, per capire – senza preconcetti – chi ha ragione e chi ha torto.
Le proteste risalgono a pochi giorni fa, quando Uber, società di origine californiana nata per favorire la mobilità urbana, ha lanciato a Genova il servizio “Uber Pop”. Chiunque scarichi sul proprio smartphone la App di Uber, può richiedere, da casa o dalla strada, un’automobile con conducente che lo accompagni alla destinazione desiderata.
Il punto è comprendere se questo servizio innovativo contrasti o meno con la normativa che disciplina il servizio taxi, che è subordinato all’ottenimento di una licenza. Non tutti possono improvvisarsi tassisti, ma solo coloro che abbiano determinati requisiti e che abbiano ottenuto (spesso a caro prezzo) una licenza per l’esercizio dell’attività riservata.
È importante non confondere fra i due diversi servizi offerti dall’operatore privato: “Uber” tradizionale e “Uber Pop”. Il primo è sostanzialmente assimilabile al noleggio con conducente (il cd. NCC): si prenota un’auto e si concorda un prezzo per la tratta (senza, dunque, che vi sia un tassametro). Il servizio è offerto da autisti dotati di autorizzazione NCC e la società Uber fa da intermediario tra chi offre il servizio e chi lo chiede.
Molto più delicato è “Uber Pop”. In questo caso, infatti, il servizio non è offerto da un conducente con autorizzazione NCC, bensì da un privato. Anche qui la società Uber media tra chi ha bisogno di una macchina e chi è disposto ad offrirla. Il punto, però, è che gli autisti sono privati cittadini che – nel tempo libero – mettono a disposizione la propria auto per portare altri privati.
I detrattori di “Uber Pop” sostengono che sia un servizio sovrapponibile a quello pubblico dei taxi e, dunque, violi le norme che richiedono un’apposita licenza. La nozione di servizio pubblico, tuttavia, è in continua evoluzione e non è detto che in essa rientri quello di “Uber Pop”, erogato da autisti non professionisti, che possono liberamente scegliere se erogare o no le corse (senza una vera offerta indiscriminata al pubblico, che caratterizza i servizi pubblici) e fra un gruppo chiuso di utenti (cioè solo fra coloro che sono registrati all’applicazione Uber,).
Il nuovo servizio, guardato da un’altra prospettiva, assomiglia molto al car pooling, cioè alla condivisione fra privati di un’automobile per fare un determinato tragitto e condividere le spese. Certo, un punto delicato è capire se il corrispettivo pagato dall’utente sia prevalentemente volto a coprire le spese o a remunerare un servizio. Ma, appunto, qui si entra in un campo non regolamentato, dove mancano norme precise che consentano o vietino.
Parlare di “Uber Pop” come di un servizio illegale, dunque, significa scegliere – fra tutte le sfumature possibili – quella più radicale e per nulla scontata.
Un intervento regolatore sarebbe quanto mai opportuno. In attesa di una legge nazionale potrebbero esserci spazi di intervento anche per Regione e Comune, cercando di contemperare le diverse esigenze in campo, ma – comunque – di preservare queste interessanti forme di sharing economy che, piaccia o no, caratterizzeranno il futuro prossimo venturo.
(pubblicato sul Secolo XIX del 27-09-2014)