Il Nuovo Codice dei Contratti Pubblici: subappalto, innovazioni e tutele
In Italia l’istituto del subappalto ha incontrato spesso limitazioni a causa dell’insito rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata all’interno degli appalti pubblici. Con l’entrata in vigore del nuovo Codice dei Contratti Pubblici (D. Lgs. 36/2023), tuttavia, si è assistito al mutare della normativa nazionale in accordo con lo spirito di maggiore liberalizzazione di matrice unionale.
Nonostante l’inclinazione più inclusiva resa dalla riformulazione dell’istituto, è ancora possibile per le Stazioni Appaltanti porre limiti al subappalto chiedendo, ad esempio, che le prestazioni oggetto di gara vengano svolte direttamente dall’aggiudicatario, in ragione delle specifiche caratteristiche dell’appalto e per garantire un maggiore controllo sul lavoro e sulla sicurezza dei dipendenti impiegati nella realizzazione dell’opera oggetto del contratto (art. 119, c. 2, D.Lgs. 36/2023); l’obiettivo di tali limitazioni, dunque, risiede nel controllare le attività oggetto di appalto, sia per evitare infiltrazioni mafiose, sia per garantire il rispetto dei diritti di tutti i lavoratori coinvolti nell’esecuzione.
Tra le più rilevanti modifiche apportate alla disciplina del subappalto dal nuovo Codice si evidenziano:
- la correzione dell’imprecisione teorica che riferiva la nullità al contratto ceduto in caso di violazione del divieto di cessione del contratto e di violazione dei limiti del subappalto. Oggi, infatti, la nuova normativa – nei predetti casi – prevede che la nullità acceda direttamente al contratto di cessione o agli accordi stipulati in violazione dei limiti al subappalto;
- l’adeguamento della normativa del subappalto al più recente sistema di qualificazione degli operatori economici che prevede un’unica categoria prevalente. La disposizione, allo stato attuale, riferisce quindi la limitazione del subappalto alla “prevalente esecuzione delle lavorazioni relative alla categoria prevalente”;
- l’esplicitazione della caratteristica distintiva dell’istituto subappalto, ovverosia l’organizzazione dei mezzi e dei rischi a carico del subappaltatore;
- la rimozione del divieto del c.d. “subappalto a cascata”.
Con il subappalto a cascata, in particolare, l’Italia ha finalmente recepito i rilievi formulati dalla Commissione Europea e dalla Corte di Giustizia in seno alla procedura di infrazione n. 2018/2273. In tale contesto, infatti, gli organi dell’U.E. avevano affermato che non è consentito agli Stati membri di imporre un divieto generale e universale ai subappaltatori di ricorrere a loro volta ad altri subappaltatori. A fronte delle suddette censure, quindi, l’articolo 105, c. 19, D. Lgs. 50/2016 risultava in contrasto con la normativa europea nella parte in cui vietava il ricorso al subappalto c.d. a cascata. La ragione del divieto di ricorso a tale tipologia di subappalto consisteva nella necessità di evitare fenomeni di c.d. dumping sociale (ovverosia il sistema tramite il quale le imprese riducono i propri costi di produzione, sacrificando il rispetto delle leggi in materia di sicurezza, diritti dei lavoratori e tutela ambientale al fine di offrire le proprie prestazioni a prezzi più bassi ed essere maggiormente competitive).
Pertanto, al fine di evitare la concretizzazione di tale rischio, l’introduzione nel nuovo Codice del c.d. subappalto a cascata è stata accompagnata dalla previsione, quale regola generale, della clausola sociale di parità di trattamento nell’ambito delle catene di appalti, di cui all’art. 119, c. 12 del nuovo Codice. Inoltre, sempre all’art. 119, c. 12, il nuovo Codice rafforza ulteriormente la tutela prevedendo l’obbligo per il subappaltatore di “applicare i medesimi contratti collettivi nazionali di lavoro del contraente principale, qualora le attività oggetto di subappalto coincidano con quelle caratterizzanti l’oggetto dell’appalto oppure riguardino le lavorazioni relative alle categorie prevalenti e siano incluse nell’oggetto sociale del contraente principale”.
Un’altra significativa innovazione riguarda la responsabilità della Stazione Appaltante nella vigilanza sull’applicazione della clausola sociale lungo tutta la catena del subappalto. Ciò impone un dovere di controllo finalizzato a garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori impiegati per l’esecuzione dell’appalto e supera il precedente principio di irresponsabilità organizzativa della Stazione Appaltante. Occorre, tuttavia, segnalare l’assenza di disposizioni attuative inerenti al controllo e alle modalità di ottenimento delle dichiarazioni di equivalenza previste dall’art. 11, c. 4, del nuovo Codice. Da tale assenza potrebbero evidentemente sorgere rischi significativi in ordine all’efficacia della disciplina sopra richiamata. Invero, il nuovo Codice si limita a richiamare le modalità di verifica previste dall’art. 110 in materia di offerte anormalmente basse, attestando un’ampia discrezionalità in capo alle S.A..
In conclusione, deve rilevarsi che l’affermazione del modello che favorisce la libertà di impresa, pare porsi in contrasto con la necessità di prevenire forme di lavoro non tutelato nel contesto degli appalti pubblici in quanto tale modello pare non essere accompagnato da adeguate e specifiche norme attuative che ne consentano l’implementazione. Solo una rigida applicazione della regola di parità di trattamento parrebbe poter fungere da contraltare ai rischi di dumping sociale.