Il Consiglio di Stato “rimanda” il regolamento sulle concessioni portuali

Il 3 maggio 2016 il Consiglio di Stato ha espresso un parere «interlocutorio» sullo schema di regolamento sulle concessioni portuali redatto dal Ministro delle infrastrutture d’intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze.
Per comprendere il significato e la portata del parere del Consiglio di Stato bisogna fare un passo indietro di ventidue anni, al 20 febbraio 1994.
È in quella data, infatti, che entra in vigore la legge n. 84 del 1994, contenente riordino della legislazione in materia portuale, la quale istituisce le Autorità Portuali.
L’art. 18 di tale legge disciplina le concessioni di aree demaniali e di banchine in ambito portuale, prevedendo che queste siano affidate «sulla base di idonee forme di pubblicità». La legge, tuttavia, non specifica quali siano queste «idonee forme di pubblicità», ma ne rimette la definizione ad un successivo decreto ministeriale. Analogamente, viene rimessa allo stesso decreto ministeriale la disciplina di alcuni aspetti essenziali delle concessioni portuali, quali la durata, le modalità di rinnovo ed i criteri di determinazione dei canoni che i concessionari sono tenuti a versare.
Come noto, il decreto ministeriale previsto dall’art. 18 non ha mai visto la luce.
Di conseguenza, a più di vent’anni dall’entrata in vigore della legge 84/1994, per l’affidamento ed il rinnovo delle concessioni portuali continuano a trovare applicazione le regole sancite dal Codice della navigazione (1942) e dal relativo regolamento di esecuzione (1952). Sennonché, dal 1952 ad oggi, la realtà è completamente mutata e le regole dettate allora non sono più adeguate. In particolare, le procedure previste dal Codice della navigazione (tuttora applicate) sono assai distanti, in termini di trasparenza e di libera concorrenza, dai procedimenti ad evidenza pubblica richiesti dalle norme europee e disciplinati, da ultimo, dal nuovo Codice dei contratti pubblici.
Non deve stupire, quindi, che il Consiglio di Stato abbia “bocciato” lo schema di regolamento nella parte in cui si ostina a richiamare procedure che risalgono, nella migliore delle ipotesi, agli anni ‘50. Queste ultime sono state giudicate dai magistrati «non soddisfacenti», in quanto «non limitano minimamente la discrezionalità dell’ente pubblico, stante l’assenza di un bando e la mancata predeterminazione di criteri di selezione delle domande».
Ma c’è di più: secondo i giudici di Palazzo Spada, anche i criteri di selezione delle domande previsti dalla legge 84/1994 – e mai attuati pienamente – dovrebbero essere aggiornati alla luce delle nuove regole europee. Il problema è che l’art. 18 della legge 84/1994 affida la scelta del concessionario ad elementi di valutazione molto vaghi e poco “tecnici” – quali «l’effetto delle strategie di impresa per la promozione dei traffici» e l’effettiva capacità dell’impresa di conseguire i «risultati previsti» – che lasciano all’Autorità Portuale un margine di discrezionalità troppo ampio. All’eccessiva genericità dei criteri previsti dalla legge, secondo i magistrati, dovrebbe ovviare il regolamento. Quest’ultimo, cioè, nel dare esecuzione all’art. 18, dovrebbe individuare parametri più obiettivi, in modo da far acquisire alla procedura di selezione del concessionario le caratteristiche di una vera e propria gara.
Perché allora adottare un parere «interlocutorio» e non un parere negativo tout court?
Il motivo è semplice: il Consiglio di Stato condivide la scelta di fondo del Governo di dare «finalmente» attuazione all’art. 18, colmando le lacune presenti nella disciplina delle concessioni portuali. Di qui la scelta di non esprimere un parere negativo che, presumibilmente, avrebbe ritardato o definitivamente bloccato il varo del regolamento.
D’altra parte, però, i giudici di Palazzo Spada hanno richiesto al Governo di fare quelle modifiche ed integrazioni necessarie perché il decreto, atteso da più di vent’anni, non nasca già vecchio, ovvero non conforme alle norme ed alla giurisprudenza di settore «più aggiornate». Tali elementi dovranno essere forniti dal Governo «in tempi rapidi», in modo da consentire al Consiglio di Stato di esprimere «con la massima sollecitudine» il proprio parere definitivo.

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